L'ENIGMA D'AMORE

enigma-amore-annarosa-mattei-big.jpg

C’è stato un tempo in cui l’amore era declinato al femminile?

Oggi sarebbe ancora possibile percorrere la via iniziatica dell’amore esplorata molti secoli fa da donne e uomini sorprendentemente consapevoli e uguali?
Fu nei fiorenti feudi dell’antica Aquitania del dodicesimo secolo che l’esperienza d’amore, per la prima volta, venne pienamente e liberamente vissuta, indagata nella sua natura enigmatica, codificata in rituali complessi, espressa in una altissima forma poetica. La civiltà occitanica – così chiamata dalla lingua d’oc che si parlava nei territori a sudovest della Francia – maturò una lunga e complessa riflessione sull’essenza misteriosa del fenomeno amoroso, che considerò il nucleo fondante di un diverso modo di sentire e di un nuovo modello sociale, all’interno di un sistema culturale assai avanzato, improntato al dialogo, alla parità tra l’uomo e la donna, al libero pensiero. Indagare sulle origini del discorso d’amore ci fa riscoprire, in modo inatteso, un mirabile momento di rinascenza di un medio evo illuminato, che pose la donna e l’amore al centro di un processo di rigenerazione e rinnovamento, non solo di ogni singolo individuo consapevole, ma dell’intera società.
Non a caso Simone Weil definì la civiltà della cortesia e dell’amore come la più evoluta e irripetibile della storia europea.

L’amore celebrato nel grande canto dei trovatori, semplici cavalieri e potenti signori, uomini e donne, fu chiamato fin’amor, amor nova – di genere femminile in lingua d’oc – e venne inteso e vissuto come accensione straordinaria dell’anima e dei sensi, occasione di rinascita e conoscenza di sé, riservata a chi sapesse intenderne le potenzialità per naturale predisposizione e per formazione culturale.
Perché la sua straordinaria potenza venisse colta e compresa da chiunque la avvertisse in sé, venne elaborata, all’epoca, una sorta di grammatica morale, un vero e proprio codice, che illustrava il cammino da compiere a quanti si sentissero in grado di intraprenderlo. L’esperienza d’amore, per chiunque fosse capace di provarla e intenderla, si doveva trasformare in tal modo in un vero e proprio cammino guidato, introspettivo e iniziatico, alla ricerca della chiave di accesso a una superiore sapienza, alla divina sophia rispecchiata nella bellezza della donna.

La donna, domna nell’antica lingua d’oc, era considerata, in questo contesto, la domina, la signora, e l’uomo era il suo vassallo, che, come in un rapporto feudale, le poteva rendere il debito hommage (omaggio) solo dopo aver superato vari gradi lungo la via del perfezionamento di sé e del riconoscimento del carattere inestinguibile del proprio desiderio. Solo alla fine del suo cammino di formazione, dopo aver dato prova di cortezia, mesura e valor, il cavaliere, divenuto om cortès (uomo cortese), poteva giurare fedeltà e obbedienza alla sua domna, senza mai pensare di risolvere nell’illusione del possesso la sua inchiesta d’amore. 

C’è stato un tempo in cui l’amore era declinato al femminile?
C’è stato certamente, dunque, un tempo, solo apparentemente remoto, in cui l’amore era declinato al femminile ed era il passaggio obbligato nel processo di perfezionamento morale e culturale di uomini e donne. E oggi possiamo riscoprirlo ricordandone l’origine, le pratiche, le modalità, i riti, soprattutto la grande poesia che, nei secoli, è arrivata fino a noi, attraversando le parole illuminate di Dante, Shakespeare, Goethe e altri giganti della galassia letteraria europea.

Ingresso gratuito. Prenotazione obbligatoria sul sito.

Anna (Annarosa) Mattei -  vive a Roma dove ha fatto i suoi studi e svolge le sue attività. Si è sempre occupata di letteratura dal punto di vista storico, critico e teorico, sia come studiosa che come docente, pubblicando libri e saggi in tal senso, impegnandosi a lungo nella promozione della lettura. Ha pubblicato tre romanzi negli Oscar Mondadori: Una ragazza che è stata mia madre (2005); L’archivio segreto (2008); Il sonno del Reame (2013). Collabora con le pagine culturali de Il messaggero. Tiene un blog intitolato Le considerazioni del gatto Gregorio.


 “Annarosa Mattei racconta – con piglio da storica delle idee e sensibilità letteraria – la genealogia e affascinante epopea della lirica d’amore (…) Al termine della sua appassionata panoramica, che invita a riaccostarsi a quella grande tradizione libertaria e trasgressiva, non possiamo fare a meno di interrogarci sulla ‘attualità’ dell’amor cortese, anche oltre i suoi evidenti meriti storici “ (Filippo La Porta, Il Messaggero, 28 maggio)

“Poco dopo il Mille “nelle corti del Midi, dove il controllo della monarchia e della Chiesa erano più deboli, stava fiorendo una cultura profana, arricchita dai contatti con la civiltà bizantina e araba, che produsse la splendida stagione della lirica provenzale. Annarosa Mattei racconta, con magica trasparenza, quella fioritura, che elaborò una squisita celebrazione dell’esperienza d’amore, via arcana alla sapienza, il gai saber.” (Daria Galateria, il Venerdì di Repubblica, 9 giugno)

“Un saggio robusto con un linguaggio colto che tuttavia tratta un argomento appassionante per tutti che è l’amore. (..) Il libro tratta dell’evoluzione  del discorso d’amore (..), delle parole per dirlo: un excursus storico e geografico per spiegare com’è che gli uomini e le donne hanno imparato a parlarsi d’amore, soprattutto a elevare lo spirito dominando le passioni. Il libro è appassionante , utilissimo per capire che l’amore è una questione culturale, si impara. In un mondo di analfabeti affettivi direi che è un libro necessario. (Michela Murgia, ‘Quante storie’ di Corrado Augias, 9 giugno)

loader